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martedì 19 luglio 2011

La passione e l'estasi (dell'arte). Il cinema di Slawomir Milewski


Un flusso di immagini ci invade. Conoscenza per creare arte, quella che Slawomir Milewski, regista polacco classe 1979, ridefinisce in controsensi e apologhi (a)morali. A partire da Ecstasy of St. Agnes, cortometraggio realizzato nel 2010. Come un Guy Maddin depurato da qualsiasi spinta fantastica, lo schermo si riempie di un bianco esplosivo. Corpi che si muovono su sfondi distanti e sfuggenti: il mistero e la complessa stranezza dell'animale uomo. La sessualità è una necessità giocosa utile esibita (the woman teacher of Polish has big boobs), forme geometriche improvvise tentano di dare un senso a quel caos controllato che con enorme presunzione definiamo vita. Tuttavia the picture is impossibile...

 

Poor People Must Die (2011) è diviso in tre capitoli. Flying to Saturn VI alterna in un montaggio frenetico e bizzarro convivialità sociali, rituali religiosi, pornografia oscena, storia della Polonia. Il bianco e nero livido e la pellicola sgranata sono accessori ad una visione sconvolgente, pezzi di mondo che si uniscono e si scontrano sullo sfondo di città distrutte dalla modernità. Forniture e pezzi d'assemblaggio del grottesco, come una cantante resa muta da un sonoro mancante o un corpo che si rotola all'infinito in un letto, senza alcun senso. L'accoppiamento è mancato, la visione è monca per natura. Deformata, allucinata, come la chirurgia estetica impone al nostro vissuto. Cinema dell'arte dirà qualcuno. Non sense gratuito? Probabile. Il secondo capitolo Literacy è una perversione bella e buona. Sequenza interminabile di una scopata da dietro con ralenti soffocante, così decontestualizzata dalla realtà naturale (del porno) da assumere connotati quasi metafisici. A chiudere il cerchio arriva Saturn VI: Members Only, in cui il primo piano di una capra assume più significato di qualsiasi essere umano.
In Pogo (2011) la cosiddetta new media art viene fatta a brandelli. Calpestare le convenzioni è l'unico metodo possibile. Perché in fondo, sembra dirci Slawomir, l'arte non è altro che una colossale presa per il culo.

martedì 12 luglio 2011

Cinematic music for cinematic people (Part V): Contemporary Noise Sextet - Ghostwriter's Joke


Musica e cinema, cinema e musica. Uno dei migliori dischi del 2011 arriva dalla Polonia e porta inciso il nome di Kuba Kapsa. Pianista ispirato dalla tradizione cinedelica del tempo che fu, ha fondato il Contemporary Noise Quintet con il fratello batterista Bartek. Pig Inside the Gentleman (2006) e Theatre Play Music (2008) sono stati i primi due episodi della discografia, seguiti dall'allargamento dell'ensemble che diventa Contemporary Noise Sextet con Unaffected Thought Flow (2008) e November Note (2010). Ghostwriter's Joke possiede tutte le caratteristiche per convincere chi ama il buon cinema e la buona musica: uno stile elegante e al tempo stesso energico, brani strumentali che musicano un film che non c'è, una ispirazione infinita che lambisce la psichedelia colorata e "inoffensiva" degli anni Sessanta. Un mélange di influenze e pulsioni, che vanno da Cinematic Orchestra e Esbjörn Svensson Trio alle migliori esperienze jazz rock e fusion dei Seventies, su tutti Billy Cobham, Stanley Clarke e Mahavishnu Orchestra (e perché no, con un po' di orgoglio italiano, Perigeo, Area e Napoli Centrale).


Dall'introduzione in crescendo di Walk With Marylin (è vero che gli uomini preferiscono le bionde?) si passa all'impatto free di Morning Ballet, pura ascesa del groove da brass esaltata da soli di chitarra isterici e ficcanti. Is That Revolution Sad? è trainata da nervose note di piano che lanciano le trame fitte dei fiati: sembra di rivivere gli score di Piero Umiliani, Armando Trovajoli e Franco Micalizzi in una insolita (e piuttosto inconsueta) variante ethio esteuropea. Curioso. E ammaliante come non mai. Old Typewriter odora di inchiostro e sigarette, puro jazz da stanza fumosa che fa il paio con Chasing Rita («Tutti gli uomini si innamorano di Gilda, ma si svegliano la mattina dopo con Rita»), groove che sale al cielo e fughe scattanti di tromba e sax replicate dalle sei corde di Kamil Pater. Norman's Mother si insinua nella testa come il tarlo che divora il buon Bates ed esplode in una sezione di fiati che alterna dilatazioni psichedeliche e stratificazioni dissonanti: per l'unica volta usare il termine noise assume senso. Il finale è affidato a Kill the Seagull, Now!, brano scritto in origine per la pièce "Il gabbiano" di Anton Chekhov diretta da Agnieszka Lipiec-Wróblewska. Jazz rock orchestrale, di ampio respiro, sognante e meraviglioso.

Di amletico c'è poco o nulla nella musica del Contemporary Noise Sextet. Kuba Kapsa e soci hanno classe da vendere e la certezza di una coolness autentica. Un plauso alla Denovali Records perché si dimostra ancora una volta etichetta poliedrica e di grande qualità.

lunedì 4 luglio 2011

OFF TOPIC Quando il cerchio si chiude e anche le date sembrano giocare con gli eventi


Ricevo l'attenta analisi dell'amico e sodale Giuseppe De Cicco e pubblico.

27 giugno 2011, a 31 anni da Ustica, re Giorgio Napolitano butta la sua solita pietra e probabilmente nasconde la mano che fino a non moltissimi anni fa svettava chiusa in pugno verso il sol dell'avvenir, chiedendo che si dipanino tutte le ombre sul caso Ustica...
27 giugno 2011, L'Aja proclama Gheddafi criminale della peggior specie, macchiatosi di colpe gravissime verso la strana, pazza, razza uomo.
27 giugno 2011, con il mandato di arresto internazionale si chiude la possibilità per il leader libico di scappare, e forse l'ultima unica possibilità di uscire "illeso" da una situazione ormai degenerata, e godersi la sanguinolenta pensione e con questo ultimo tassello aggiuntosi sempre il 27 di giugno del 2011, l'Occidente si appresta a chiudere i conti con quello che forse è l'africano più fastidioso e pericoloso dai tempi di Annibale; perché alla luce dei fatti vien fuori che...
Nel 1969 la Libia e Gheddafi compiono la loro rivoluzione. La monarchia dalle forte tinte filo-occidentali viene spazzata via e i primi a pagarne le conseguenze sono proprio le potenze straniere, soprattutto francesi, inglesi e americane. Non certo dei bracaloni buontemponi, insieme all'indimenticata indimenticabile CCCP le tre potenze militari più bellicose dell'Occidente e quindi... Nazionalizzazione di banche e pozzi petroliferi, che per volontà della monarchia erano nella quasi totole dipsonibilità dello straniero fino a quel momento; chiusura immediata di tutte le basi delle potenze occidentali sul suolo libico, inglesi e americane nello specifico.


Alla fine degli anni Settanta la tensione internazionale nei confronti della Libia è altissima. Il colonnello lavora per la creazione di uno stato panarabo che unisca i popoli arabi, la politica internazionale si basa su una forte componente anticolonialista e antisraeliana. Secondo il giornalista Andrea Purgatori, uno dei massimi esperti del caso Ustica, il colonnello Gheddafi in quegli anni è il nemico pubblico numero uno degli americani. Per dare un'idea, sempre Purgatori sostiene che «il presidente degli Stati Uniti d'America ogni mattina in quegli anni si preoccupa di quello che farà Gheddafi». Tuttavia l'autore del libretto verde non è inviso solo agli americani: i francesi lo odiano per il suo ostinato e fastidioso nonché fottutamente affascinante anticolonialismo e per  le sue pressioni e ingerenze sul governo filofrancese del Ciad. Per non parlare  delle tensioni con l'Egitto per la svolta filoamericana e le aperture al regime sionista.
Ecco, questo è lo scenario in cui, il 27 giugno del 1980, matura il fallito tentativo di eliminare il leader libico. Che in compenso costa la vita a  81 passeggeri di un volo civile, seguiti da 31 anni, 31, che sono un casino di giorni, un fottio di ore, una miriade di minuti, un universo di secondi; 31 lunghi anni di lacrime rabbia e dolore per una strage, ancora oggi, dopo 31 infiniti anni, senza colpevoli senza giustizia e senza neanche la consolazione di una verità storico-istituzionale. Punto. Purtroppo.
Volo pindarico, parlando di Cirenaica mai fu più azzeccato forse; e allora pindaricamene voliamo al 2003 sperando di non aver già ammazzato di noia. 2003: cadono le sanzioni internazionali, tutto il mondo guarda alla Libia come un enorme caldo desertico ricchissimo albero della cuccagna, le più grandi società per l'energia, sopratutto quelle legate al petrolio, ci si fiondano leccandosi i folti baffi da petroliere texano ma ancora il colonnello è lì a rompere i coglioni. La Libia assume una politica sullo sfruttamento delle immense risorse petrolifere che non ha mai adottato nessun altro stato al mondo. Un articolo del Wall Street Journal documenta come, quando è venuto meno l'embargo nel 2003, tutti quelli che sapevano come scavare un pozzo per estrarre petrolio si sono fiondati sull'ex colonia italiana con grandi speranze, rimanendo al fine delusi - dice il Wall Street Journal - dal fatto che le autorità libiche li avessero messi in forte concorrenza fra di loro, una delle leggi sane del libero mercato - a detta dei liberi mercanti -, strappando quote per l'usufrutto dei pozzi pari al 90% del ricavato. Il che, commenta l'ex direttore della ConocoPhillips (compagnia petrocacadollari statunitense), ci mette davanti ad un sistema che pone i termini più duri a livello mondiale per le compagnie petrolifere, obbligando inoltre le suddette società ad assumere, per la maggiore, personale libico anche ai livelli dirigenziali.


Se siete ancora svegli e se vi documentate in rete sopratutto grazie a giornalisti come Manlio Binucci e Maurizio Torrealta, quello che rappresenta più di ogni altro il sigillo alla condanna a morte e la colpa più grave di uno dei personaggi forse più megalomani della storia (ma anche uno dei più importanti per il futuro del continente africano), è stato il tentativo di staccare una buona parte dell'Africa dal giogo occidentale. Clonando, e rendendoli responsabili solo davanti all'Unione degli stati Africani, quegli stessi organi che ad oggi permettono alle "grandi" nazioni della terra di avanzare pretese e incidere nelle scelte degli ancora assoggettati ex stati coloniali. Ovvero. Nel corso degli anni, per precisa volontà di Gheddafi, la Libia ha portato avanti quella che è conosciuta come la diplomazia dei fondi sovrani: massicci investimenti in diversi parti del mondo pari ad un ammontare che supera i 150 miliardi di dollari. Signori (per rendere tutto così serio), si parla di investimenti che superano i 150 miliardi di dollari. Per dare un'idea, per salvare la Grecia (e quindi l'Europa - il mercato unico e la paura di non farne parte meriterebbero un discorso a parte, perché in ultima analisi sono le paure che leggittimano i governi), si stima servano 110 miliardi di Euro, che nessuno naturalmente ha e che verranno elargiti pian piano. Ecco, la Libia investe 115 miliardi in fondi sparsi per i mercati di mezzo mondo; e noi italiani ne sappiamo qualcosa, vedi Fiat (azioni comprate al doppio del valore di mercato), vedi Unicredit. In particolare, una parte molto consistente è stata investita in 25 stati tutti apparteneti alla fascia sub sahariana; ai soldi libici si deve il primo lancio di un satellite tutto africano per le telecomunicazioni che permette a gli stati che lo usano di risparmiare centinaia di milioni di dollari l'anno sulle grandi reti internazionali; ma sopratutto la Libia ha fatto pressioni sulla Lega degli Stati Africani affinchè si dotasse di meccanismi finanziari simili a quelli creati dall'Occidente. Ovvero la Banca Africana di Investimento con sede a Tripoli, la Banca Centrale Africana con sede in Nigeria e il Fondo Monetario Africano con sede in Camerun. Il tutto atto a creare una zona indipendente dagli interessi e dalle pressioni occidentali e cinesi, in modo da liberare il continente dal giogo del Fondo Monetario Internazionale, dalla politica delle privatizzazioni e dal ricatto esercitato con il debito degli stati africani nei confronti di quelli occidentali. Forme embrionali ma incredibilmente concrete per far venir meno quelli che, se analizzati, per citare le parole del giornalista Manilo Dinucci sono strumenti di dominio.
Gheddafi dittatore, Gheddafi liberatore, ai posteri l'ardua... Ma rimane sempre valido il detto secondo il quale «l'unico modo per difendersi dal mondo è conoscerlo bene».
Allah Akbar… ma i soldi lo sono molto di più!

Il grande lavoro di indagine giornalistica a cura di Maurizio Torrealta, Guerra in Libia, chi ci guadagna